La mia Preghiera

    Alla fine tra tanti discorsi, e forse tra tante chiacchiere e “fake news”, ci resta solo tanta paura, tanta insicurezza, tanta tristezza, tanta diffidenza sul prossimo che incontriamo o avviciniamo: sarà positivo? mi contagerà? Ci accorgiamo cosi di non riuscire a vivere perché la nostra vita umana è vita di relazione, vita sociale, e queste paure e questi dubbi sull’altro ci fanno sentire sempre più soli e indifesi, insicuri. Cosa fare?
    Noi cristiani, pur condividendo col resto del mondo la nostra umanità, con tutto quello che ne consegue, abbiamo la Fede, (diciamo di avere La Fede), e a questa dobbiamo ricorrere e aiutare gli altri a cercarla, a trovarla, ad accoglierla, attraverso la nostra testimonianza. La fede è relazione personale con Dio, dunque non siamo soli, siamo con Qualcuno che ci rende vivi di Se.
   La Fede, ci dice la Lettera agli Ebrei, è: “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1). Ma questa Fede su cosa è basata? Su chi o che cosa è fondata? La fede, ricordiamocelo, è un dono di Dio, perché la fede è Dio stesso che si dona, si fa conoscere, attraverso un cammino che compie con l’uomo fino a portarlo all’incontro personale con Lui. Noi poniamo, anzi è Dio stesso che lo ha messo, come primo “tedoforo” di questa avventura di Fede, Abramo, detto “nostro padre nella fede” (Canone Romano), con lui è iniziato, e non si è interrotto, questo cammino, fino a giungere a Gesù “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), infatti “Dio, che aveva gia parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio…..” (Eb 1,1-2), e così “Egli (Dio Padre) che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8,32). Cristo è la pienezza della rivelazione di Dio, in Lui, il Padre, ci ha detto e ci ha dato tutto, nulla ci manca, solo il compimento di ciò che già ci è stato donato.
     Gesù è l’unico nome: “dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”. (Att. 4,12). Si, Gesù porta a compimento il cammino di rivelazione e conoscenza di Dio, perché in Lui si incontra Dio, afferma: “ben più di Giona e Salomone c’è qui” (Lc 11,30.32), “prima che Abramo fosse, Io Sono” (Gv 8,58). Gesù è il Figlio di Dio incarnato, con Lui l’uomo entra in relazione con Dio creduto, amato, seguito, desiderato. In Gesù uomo, l’uomo vede e incontra Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9).
     Questo è Dio che ci chiama a se’ non per fare una partita a burraco ma per condividere la sua vita, la sua felicità. Tale comunione di vita è per noi possibile perché mediante il Battesimo, siamo diventati, per grazia, un medesimo essere con Cristo.
     Con Cristo, per Cristo e in Cristo siamo inseriti nella comunione di vita trinitaria, in quel eterno dialogo di amore tra Padre e Figlio e lo Spirito Santo.
     Ecco dove sgorga la preghiera, il nostro modo di dialogare con Dio; siamo accolti nella Sua vita, nella Sua relazione, travolti da quella comunione di Amore.
    La preghiera la dobbiamo definirla cristiana in quanto è con Cristo, e in lui comunione con l’essere di Dio, ma la preghiera è anche ecclesiale cioè con il corpo di Cristo che è la Chiesa. La preghiera è con/in Cristo e con/nella Chiesa. S. Agostino dice: “il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è colui che prega per noi, che prega in noi e che è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro capo; è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui la nostra voce, e in noi la sua voce” (Esposizione al Salmo 85,1).
   Dobbiamo pregare non perché c’è una costrizione, o perché o voglia, dobbiamo pregare perché è la nostra “costituzione” personale di cristiani. Siamo figli e figlie di Dio in Cristo Gesù, è questa relazione di vita che ci porta a dialogare col Padre e col Figlio nello Spirito Santo. Essere cristiani non è un titolo è una vita, un essere, e come tale l’essere vive prima di tutto nel dialogo, la relazione, con Dio da cui prendiamo: “energia esistenza e vita” (Prefazio IV, Dom. temp. Ordinario).
    Essendo la preghiera una relazione viva con Dio, non la si può conoscere concretamente se non attraverso la sua pratica.
    La preghiera prima di tutto è la chiamata di Dio ad entrare in relazione con Lui, nella relazione che è Lui. La Preghiera è una richiesta di Dio all’umanità: “ho sete; dammi da bere” (Gv 4,7. E’ Dio che ha sete dell’uomo che col peccato si è allontanato da Lui, quell’uomo che in principio, passeggiando nel Eden (Gen 3,8), era in relazione col suo Creatore, parlava con Lui. Dunque l’uomo fatto per Dio è un uomo fatto per relazionarsi col Creatore, capace di dialogare con Lui.
     La preghiera esprime anche la nostra sete di Dio. Abbiamo desiderio, bisogno di Lui. La nostra vita cristiana, vita di Cristo, in Cristo, ha bisogno di quella relazione che Cristo, Figlio di Dio, vive col Padre suo. Abbiamo sete e: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 41,2-3). Si, “di te ha sete l’anima mia” (Sal 63,2). ) Dio ci chiama a dissetarsi da Lui, di Lui “l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).
     Nella preghiera si incontrano due seti quella di Dio e la nostra.
   Prima di essere caratterizzata da varie forme: benedizione, domanda, intercessione, azione di grazie e lode, la preghiera è un incontro, un donarsi, un offrirsi, ascoltarsi, conformarsi; è partecipare alla vita intima di Dio, partecipare alla vita di Cristo, Figlio di Dio, nella sua incarnazione, passione, morte e risurrezione. Da qui nasce la “forma” della preghiera che ha il culmine nell’Eucarestia, che è rendimento di grazie non solo per i doni materiali, ma per il dono della vita di Dio e per la salvezza.
   Gesù stesso ci insegna a pregare, non ci insegna solo una formula ma soprattutto la Sua relazione col Padre: “Quando pregate, dite…” ma forse prima di dire con la bocca siamo invitati a dire con la vita: “Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per…”(Mt 3,14). Gesù è maestro di preghiera con la vita prima che con le parole! La preghiera non si insegna.       La preghiera insegna. Si va a scuola di preghiera, si dovrebbe invece andare alla preghiera che fa scuola. La scuola insegna a pregare quello che sento, che mi manca, con le modalità, o tecniche più affini o in auge in quel momento. Alla preghiera che fa scuola, invece, imparo a vivere quello che prego, Dio, la sua vita di amore, comunione, dono, offerta, sacrificio, misericordia, santità, grazia. La preghiera richiede e insegna la vita di Dio, e nella preghiera continuo ed approfondisco questa relazione con Lui.
     In questi giorni siamo invitati a pregare, siamo forse invitati solo a dire a Dio che abbiamo bisogno di Lui, ma già lo sa! Se in questi giorni preghiamo manifestiamo la nostra sete relativa alla presente necessità, e Lo preghiamo di allontanare da noi l’epidemia, insieme a questa dovremmo però riscoprire la preghiera come esigenza del nostro esistere di cristiani in cui, in Cristo, ci è stato dato tutto, abbiamo tutto, il problema è se ci crediamo, se ci interessa!. Chiedere nel suo nome (Gv 14,13), come Gesù ci invita a fare, non è avere una raccomandazione, una scorciatoia, ma è chiedere nella Sua Vita. Se chiedo nella Sua vita chiedo Dio a Dio, allora posso ripetere con fiducia: “sia fatta la tua volontà” (Mt 6,10) a imitazione del Figlio che dice: “Ecco io vengo per fare la tua volontà” (Eb 10,7). Questo è il nostro pregare, è il dialogare di Dio in cui veniamo immesi.
     Il Signore ci chiama, ci richiama, a Se’, al questo dialogo con Lui, alla preghiera, anche attraverso questa grande prova perché vuole avere relazione con noi, non vuol essere considerato il distributore per ogni esigenza materiale, ma il Signore a cui mi affido, di cui mi fido, in cui confido. Ci chiama per evitare di trovarci, nelle necessità, troppo lontani da Lui e incapaci di parlargli o, magari, pretenziosi nelle richieste. Sì, si può essere lontani come il figliol prodigo, ma si può essere lontani anche come il figlio rimasto a casa, uno è lontano perché crede di riuscire a realizzare la sua felicità da solo, senza il Padre. L’altro è lontano perché pur stando in casa non parla, non si relaziona col Padre, vive solo l’attesa sorgnona di poter fare come vuole, un giorno, senza il Padre; è già senza, è già perdente! Noi possiamo essere l’uno o l’altro, ma il figlio “scavestro” è colui che ha mantenuto il Padre nel cuore e ha saputo ritornare, umile e penitente, con una preghiera, preparata, che però a raggiunto il Padre prima ancora di poterla esprimerla con le proprie parole: è ritornato alla Vita, il resto non serve più.
     Preghiamo dunque la Vita perché ci ridoni vita e salute! Lui l’ha già data e offerta per la nostra felicità, nella preghiera sentiamo questa Vita divina, che è già in noi, che ci chiede di essere vissuta, che chiede coraggio nel lasciarci coinvolgere di più nel essere di Dio: accogliamo il suo Dono e, con Lui, diventiamo dono. Ecco il frutto della preghiera alla quale tutto è possibile!

IL VOSTRO PARROCO

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