
Carissimi fratelli e sorelle è un po’ che non vi scrivo non perché non ho niente da dire ma perché con tanto “dire” si rischia il “ pour parler”, ossia chiacchiere. Il presenzialismo “mediatico”, può diventare autoreferenzialità.
Ora ho voluto scrivere qualcosa, cari parrocchiani, perché in questi “tribolati” giorni di dura prova, che ci è dato di dover sopportare con la forza della nostra fede cattolica, si sentono discorsi che dire ambigui e già una carità. Discorsi che sembrano di fede ma che appartengono più al mondo, al suo pensiero, alla sua idea, ai suoi principi, che a Cristo, da cui noi prendiamo il nome di cristiani. Questi giorni non dobbiamo leggerli solo come giorni di umiliazione, di impedimenti, ecc… ma anche come giorni opportuni in cui possiamo fare, a partire dalla nostra fede, una riflessione sul senso della vita dell’uomo e, come da credenti già sappiamo, quale sia la via da percorrere perché l’umanità non sia nell’infelicità ma nella felicità, a cui è chiamata e destinata fin dalla sua creazione, ma soprattutto rifettere sulla Redenzione operata da Gesù Cristo perché, nessun vantaggio ci sarebbe per noi, nello schivare la morte, se Lui non ci avesse donato la sua vita!
Ho detto che sembrano di fede perché sono fatti, questi discorsi, o da persone riconosciute di fede, oppure fatti con vocaboli provenienti da concetti di fede; ma la fede che cosa è?
Prima di tutto la fede è una virtù teologale cioè è dono di Dio, quindi la fede in ogni sua espressione rimanda a Dio, all’assoluto, non al relativo.
La fede poi è la risposta dell’uomo a Dio che si rivela, si fa conoscere, quindi la fede professata, celebrata, vissuta, non è qualcosa di sociologico, mondano, ma teologico, soprannaturale.
Dunque parlare, in questo tempo di pandemia, per un cristiano, chiunque esso sia, quale membro del corpo di Cristo che è la Chiesa, deve essere un parlare che parte dalla “situazione” concreta, da ciò che si sta vivendo, ma non per rimanervi impigliato “come uno che non ha speranza”, e scadere così in discorsi comuni che stanno bene sulla bocca di tutti, ma per parlarne a partire dalla fede cioè con Dio, di Dio, per Dio, sapendo che, anche attraverso questa prova, il Signore vuole dirci e reinsegnare qualcosa. Parlare senza lasciarsi trasportare dalla corrente “piaciona” del mondo per la quale Dio viene, deve essere, messo tra parentesi, silenziato.
Ci si è dimenticati di quello che il Signore ci ha detto: “voi siete nel mondo ma non del mondo”, “il mondo passa con tutto ciò che gli appartiene”. La fede, essendo fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono, secondo quanto è detto nella Lettera agli Ebrei, ci aiuta ad affrontare questa nostra esistenza, anche in questo tempo del covid-19, a trattarla non con superficialità consumistica o opportunistica, ma con una conoscenza profonda e vera. Chi meglio del Creatore può conoscere l’umanità? Noi non abbiamo bisogno che il mondo ci istruisca sull’uomo perché abbiamo Dio che ha creato e si è fatto uomo, a lui nella fede ci rivolgiamo perché ci soccorra, ci aiuti, ci istruisca, ci illumini a dire e a fare quel bene dell’umanità a cui Lui è molto interessato.
Tra le tante frasi che si sentono sui social ve ne riporto alcune: “Occorre difendere la vita nostra e altrui” “Il diritto alla vita” “tutto andrà bene”.
Queste sono affermazioni ricorrenti in questi giorni in cui c’è un po’ di tensione per la nuova comunicazione ministeriale riguardo il contenimento del contagio, che è comunque necessario sempre attenzionare.
È certo che per noi cristiani la vita va difesa dal suo concepimento al suo termine, la vita è un valore non negoziabile, anzi la vita è un dono da custodire ci è data per viverla, viverla bene, nel bene, nel benessere. Questi per noi sono discorsi che fanno parte del nostro DNA cristiano perché crediamo nel Dio vivente, nel Dio della Vita, non della morte; per noi il bene, il benessere non c’è senza Dio. Ogni vita va difesa perché è un bene in sé, soprattutto la vita dell’uomo che è cosciente di sé e delle altre vite. L’uomo è un essere vivente speciale, unico nel suo genere, capace perfino del bene ma anche del male, verso di sé e verso gli altri. L’uomo non ha l’istinto irrazionale degli animali ha, infatti, la razionalità. Ma anche la vita dell’uomo, come quella di tutti gli altri esseri, non è una vita infinita, è “temporanea”. Anche questo dovrebbe essere chiaro per tutti soprattutto per noi cristiani. Non possiamo illuderci col mondo riguardo a una vita immortale realizzabile su questa terra in qualche modo, con qualche accorgimento o con la scoperta del fluido dell’immortalità. Certo che debbo conservare questo dono in me e negli altri, tanto meno procurare sofferenza ad alcuno, ma forse questo significa che conservarci lontano dal virus elimino la morte? Forse che oggi scappato dalla morte causata dal virus perché sto chiuso in casa, metto guanti e mascherina, domani non debbo comunque morire, anche solo per il naturale svolgimento della vita? Certo che ho dovere morale di applicare tutte le disposizioni necessarie per evitare il contagio o di contagiare, ma questo non vuol dire farla franca con la morte. Si dice che lo struzzo ficchi la testa sotto terra quando vede venire il leone, così non vedendolo pensa di sfuggire alle sue fauci!
Questi discorsi giustissimi, sulla preservazione della vita, sono fatti, molte volte, a metà anche da noi credenti, cioè mancano della fede, della parola della fede, che è importante per pensare al senso della nostra vita sulla terra ma guardando al fine della nostra vita che è il Cielo.
Il discorso della fede non è illusorio, o come diceva qualcuno, alienante, ma di incoraggiamento e di impegno perché riguarda la vita che dobbiamo affrontare tutti i giorni, a trecentosessanta gradi, non solo con uno sguardo rivolto basso ma anche verso alto.
Certamente non possiamo e non dobbiamo mettere in pericolo la vita degli altri, come viene ripetuto, questo è un dovere per tutti, i cristiani lo sanno e lo vivono da sempre, basti pensare alle opere di carità vissute nei secoli, la storia della Chiesa ne è piena, lo sanno perché il Dio in cui credono ha dato la Sua vita per tutti, e i cristiani, a imitazione del loro Signore continuano, con la loro umana vita, a dare la vita, per la vita di tutti: i cristiani vivono la loro vita con e nella Vita. Per questo non possiamo dimenticare, nei nostri discorsi, che cosa è per noi la vita anzi chi E’ per noi la Vita.
“Siccome la vita, che abbiamo è finita non vale la pena neanche darsi da fare, impegnarsi tanto debbo morire!” E’ stato il pensiero di tanti personaggi e delle loro filosofie: vivi la giornata “Carpe diem”. Ma per noi cristiani non è questo il pensiero, il nostro è il pensiero di Cristo, come ci dice san Paolo. Quale è il pensiero di Cristo? Che tutti gli uomini siano salvi. Salvi da chi, da che cosa? Dal peccato e dalla morte. Per questo Cristo è venuto non per insegnarci a ricostruire il paradiso terrestre ma per giungere in Paradiso, stare con Dio, nell’abbondanza di vita.
Allora quando da credente parlo di conservare, preservare la vita, cosa penso, a quale vita penso? Non possiamo “sparare” frasi come fa la televisione, a ripetizione, frasi ad effetto, o come si dice per essere “concreti”, non possiamo parlare secondo il mondo! Si, il concreto a cui molte volte ci si riferisce è un problema, una situazione, dove Dio viene escluso perché, secondo la mentalità del mondo, possiamo farcela con le nostre forze. Con le nostre forze non possiamo conservare per sempre la vita! Non siamo padroni neanche di un capello del nostro capo! Tutto passa solo Dio, il forte, resta e con Lui tutto ciò che è suo.
In questo tempo di “pastorale mediatica”, giustificabile anche se problematica, come da molti evidenziato, il rischio è quello di parlare come gli altri, ma noi non possiamo essere come gli altri “i quali non hanno speranza”. Non dobbiamo sentirci, arroganti, perché non è per noi o da noi che, come ci dice un antico autore, “il cristiano è nel mondo come l’anima è nel corpo”, ma è la volontà del Signore. Ma forse è meglio risentire le Sue parole: “voi siete il sale della terra e la luce del mondo, se il sale perdesse il sapore con che cosa lo si renderebbe salato, la lucerna e accesa per essere messa sul lucerniere non sotto il tavolo”. Il cristiano ha un compito affidatogli dal Signore stesso: quello di insaporire e illuminare di Lui un mondo insipido e nel buio. Non dobbiamo illuderci ne illudere, ma convinti convincere.
La nostra esistenza di cristiani, in questo momento storico, in questa situazione di sofferenza, è chiamata a manifestare quelle verità della nostra fede che dicono all’uomo chi è, perché c’è, dove và. Siamo chiamati a vivere questa vita con questi/questo problema ma sempre da cristiani, e allora la nostra riflessione non può fermarsi solo a come sfuggire/evitare, a come uscire, per ricominciare quello che abbiamo interrotto a causa di questa epidemia, anzi, proprio per questa nostra fede, il nostro giudizio, prima di tutto, deve ritrovare sapore e spessore in Colui che è per noi Vita, Salvezza e Bene. Certo andrà tutto bene se il vero Bene, che è Dio, troverà posto tra di noi, magari ancora in una “mangiatoia”, in una “stalla”, ma che trovi posto! Altrimenti non andrà per niente bene, si passerà da problema a problema, di sofferenza in sofferenza.
Questa epidemia ha portato molti uomini e donne alla morte, il contagio è subdolo e terribile. La morte è la fine di questa vita, ma la morte non è solo causata da questo virus, la morte è eredità di tutti gli uomini quindi difenderci dal virus è un dovere e una necessità ma non dimentichiamoci che dobbiamo pur sempre morire; abbiamo paura a ricordarcelo?
Allora quale vita debbo difendere? Per quale vita debbo preoccuparmi?
Gesù ci ha detto io sono la Vita, dovremmo pensarci di più e parlarne di più su questa affermazione del Signore, pensarla spesso come pensiamo già ai nostri bagni in mare, se ci sarà data la possibilità, sentiremo così, come dice un poeta, come “mi è dolce naufragar in questo mare” il mare della vita di Dio che è amore. Parlare di Gesù Vita è come immergersi nella pace, nel bene, nell’amore. Egli è la vita e vuole che gli uomini l’abbiano in abbondanza, per questo ha istituito i Sacramenti e il più sublime è l’Eucarestia. Lui è la Vita, dona la sua Vita e chiede agli Apostoli di collaborare a questa “trasfusione”, diffusione, con la predicazione, i sacramenti e le opere di carità. Ma dice anche chiaramente che seguirlo, servirlo, in quest’opera, è prendere la propria croce, è perdere la propria vita per Lui, per la missione, per il Vangelo: “chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi perderà la propria vira per Me e per il Vangelo la troverà”. Cristo allora mette in pericolo la vita dei cristiani? O i cristiani, viventi di Lui, sanno che la loro vita è ormai nascosta con Cristo in Dio? Questo non vuol dire superficialità o fanatismo (definizione con la quale si vorrebbe chiudere la bocca a chi non la pensa come me), difatti Gesù stesso si allontana quando i Giudei, diverse volte, progettarono di ucciderlo, poi dice ai discepoli che se in un posto non sono accolti vadano in un altro, san Paolo fugge calato con una cesta dalle mura della città. Così hanno fatto i cristiani di Gerusalemme, quando durante la guerra giudaica del 66 d.C. ordinata dall’imperatore Vespasiano e proseguita dal figlio Tito, secondo quanto scrive lo storico Eusebio, i cristiani di Gerusalemme, temendo la distruzione della città ad opera dei romani, si rifugiarono in massa a Pella insieme al vescovo di allora, Simone. Non si va in cerca del sacrificio ne per se ne per gli altri, ma certamente la fede non è camaleontica, che cambia colore secondo il ramo, o situazionistica, che si adatta alla circostanza, la fede è coraggiosa come quella di Stefano il primo martire di una lunga schiera, come quando Pietro e Giovanni, davanti al Sinedrio che chiedeva loro di tacere su Gesù Cristo, essi risposero che era meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, “questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa che ci gloriamo di professare” e non edulcorare, la fede che ha guidato tanti ad affrontare le prove, i pericoli e perfino la morte, convinti e certi che Dio non inganna, non dice le cose tanto per dire ma, al servo/va fedele, darà la Sua gioia, come ha promesso.
Dobbiamo dirci, con forza e gioia, le parole della fede, quelle sole sono parole di vita eterna, le sole che ci sostengono in questo momento, che ci incoraggiano a perseverare e a fare il bene, il nostro dovere per la Vita, senza queste parole cosa abbiamo noi di meglio, cosa possiamo dare agli altri, al mondo? Abbandonati, abbandoniamo; vuoti, svuotiamo; falliti, falliamo, non diamo niente, solo sfiducia, rassegnazione che rischia di tradursi in violenza: Nemo dat quod non habet. Ma noi non abbiamo proprio niente da dare, da dire? Tanta attenzione alla Scrittura e così facilmente non sappiamo, non ricordiamo, che, seppur non abbiamo ne oro ne argento, abbiamo qualcosa di molto più valore: Gesù Cristo? Nel nome di Cristo alzati e cammina! Questo è il grande “valore” di cui siamo ricchi, che vale più di tutto e del quale arricchiamo il mondo.
Difendiamo la Vita, diffondiamo la Vita! Passiamo anche noi, in questo mondo, facendo del bene, e il bene che dobbiamo fare è dare è dire Dio e il dono della sua Vita, dono fattoci nel Figlio suo Gesù Cristo, offertoci continuamente nell’Eucarestia il Pane della Vita, il Pane dei pellegrini, il vero pane dei forti e coraggiosi.
Il vostro Parroco.