Testo incontro Catechisti

      Nel Vangelo di Marco, Gesù vive con suoi discepoli il cammino verso Gerusalemme dove si compirà la Sua missione affidatagli dal Padre: la salvezza dell’umanità. In questo cammino si compiono due cose: la prima è la missione di Gesù, come abbiamo detto; la seconda è l’istruzione degli Apostoli chiamati ad un servizio preciso, quello cioè di annunciare ciò che Gesù ha compiuto: la salvezza.

     È dunque in questo cammino con Gesù, dietro di Lui, nel quale gli Apostoli, di ieri e di oggi, continuano a fare esperienza di cosa voglia dire essere del Signore e per il Signore. In questo cammino viene loro rivelato chi è Gesù: non un semplice uomo, la Sua sola umanità, aspetto che anche oggi qualcuno comincia a risottolineare alla maniera dell’eretico Ario, ma la sua identità personale di Figlio di Dio, vero uomo e vero Dio.

    Per questo motivo il cammino con Gesù è un fatto importante, e l’evangelista Marco col suo Vangelo sottolinea proprio questo aspetto. Il cammino è importante per conoscere Gesù, per la formazione al Suo servizio, per comprendere che ciò che faccio lo faccio non per un buon sentimento ma per Lui: “so infatti in chi ho posto la mia fede” (2Tim 1,12). Il cammino è anche importante perché imparo a condividere con altri l’esperienza di Cristo.

        Camminare, per ogni discepolo, è una necessità, è un dovere se si vuole essere compagni, amici, servi del Signore. Il cammino è un tema Biblico-Teologico, è una tematica di spiritualità cristiana.

     Camminare implica un punto di partenza e uno di arrivo, una meta: parto come peccatore, disperato per la morte che condiziona la mia vita, per giungere alla felicità vera.

      Camminare implica una motivazione, un perché: sono povero, ho bisogno di arricchirmi, di dare senso alla vita.

     Camminare implica una scelta e delle rinunce: scelgo questa strada e non un’altra; rinuncio, con questa scelta, a tante altre cose anche buone e lecite, ma che non facilitano questo cammino.

      Camminare implica incertezze e disagi: non è facile il cammino, anche in autostrada troviamo disagi, camminare vuol dire anche portarsi dietro le miserie umane.

      Camminare implica una volontà decisa: anche di fronte a problemi fisici, psicologici, relazionali, è richiesta una volontà ferma di andare avanti con fiducia in Colui che seguo.

       Camminare implica l’amore: non si compie questo cammino se non c’è amore, allora si fa una gita, una passeggiata; camminare è invece amare; amare è la forza del nostro andare: Amore è il nome della Via, del cammino

       Il Catechismo viene definito cammino di fede, anche se normalmente lo si fa da seduti e in questi periodi spesso e volentieri via streaming. È un cammino di crescita nella fede, nella conoscenza di Dio in Gesù Cristo, come gli apostoli, e come loro, possiamo sperimentare anche la difficoltà, nel dire, nel dare, e anche nel “ricevere”.

      Per crescere nella fede, dunque, occorre camminare con Gesù; è Lui, e Lui solo, il soggetto della Fede. Camminare significa starci, essere fedeli, condividere, e tutto ciò che già sopra abbiamo cercato di delineare.

      Se camminiamo con Gesù da Lui veniamo ammaestrati, riceviamo il dono della conoscenza, chi è Lui (Mc 8,27,33; 15,39), e di conseguenza la conoscenza del Dio invisibile: “chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv 12,45).

     Camminare con Gesù è anche camminare con gli altri; non c’è, né ci può essere, l’esclusiva perché Gesù vuole che tutti lo seguano e che “tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”. (1Tim 2,4). Questa compagnia è un dono, un aiuto, un sostegno, un incoraggiamento per tutti coloro che percorrono la stessa Via. La testimonianza, l’esperienza, la vita cristiana di ognuno diventa fonte di perseveranza, sostegno ed incoraggiamento per gli altri. È la vita dei Santi, nostri fratelli ed amici dei quali S. Agostino, in una frase a lui attribuita, diceva: “se questi e queste perché non io?” (Io potrò le grandi cose di cui sono capaci questi e queste, non perché ne sono capaci loro, ma perché, come loro, potrò contare sull’aiuto di Dio. Confessioni 8,27).

      I Catechisti sono impegnati per primi in questo cammino. Essi ripetono con S. Giovanni, nella sua prima Lettera: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta”. (1Gv 1,1-4).

      I catechisti, come gli Apostoli, altro non possono dare se non ciò che hanno ricevuto come dono gratuito della misericordia di Dio. Lo ricevono tuttavia se stanno col Signore, se perseverano nello stare con Lui. “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?” (1Cor 4,7); “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.” (1Cor 15,3).

      “La fede viene dall’ascolto” ci dice sempre san Paolo. Ascoltare è un camminare perché si deve seguire chi parla, non distrarsi e assopirsi. Ascoltare il suono di quella Voce, è seguire quella Voce fino a giungere alla Sorgente, dopodiché l’ascolto diventa vedere, visione. Ascoltiamo tante cose anche solo per il semplice piacere, altre invece per un certo qual interesse, magari di semplice curiosità. Tra tante offerte di ascolto dobbiamo scegliere l’ascolto per la vita. Non possiamo ascoltare solo per distrarci perché la vita non è distrazione. Dunque chi ascoltiamo? Quello che ascoltiamo è quello poi che seguiamo. Ciò che seguiamo e ascoltiamo è ciò da cui ci lasciamo formare, informare, dunque plasmare, perchè è ciò che riteniamo faccia la felicità della nostra vita.
     Noi abbiamo scelto di ascoltare e seguire Gesù, Lui è la Vita della nostra vita, Lui ci offre la Vita vera, quella che è veramente Vita felice, eterna: la vita di Dio. Un ascolto è una sequela che ci porta ad assimilare Lui tanto da vivere la Sua Vita, per grazia si intende!

Come si deve camminare? Come si deve ascoltare?

     Il primo quadro che il brano evangelico a cui noi attingiamo per questo incontro, che è parte del cammino annuale proposto dall’AC intitolato “da corpo a corpo”, ci presenta i bambini che vengono portati da Gesù perché li tocchi.

      Toccare, benedire, voleva dire trasferire all’altro quello che io ho. Per far questo tuttavia occorre avvicinarsi, toccarsi appunto, occorre una relazione non a distanza (come siamo costretti ora a vivere a causa dell’epidemia) ma una relazione che coinvolga tutta la persona, dunque anche il corpo, “corpo a corpo” appunto.

      Questi bambini venivano portati da Gesù certamente dai loro genitori i quali, a loro volta, avevano seguito e ascoltato il Maestro. Sono stati toccati dalle Sue parole, dal Suo insegnamento, dalla Sua personalità, e desiderano anche per i loro figli qualcosa di quella gioia da loro sperimentata. I bambini sicuramente non avranno dato tanto ascolto a Gesù, avranno un po’ giocato, un po’ saranno stati distratti, un po’ sonnolenti, come tutti i nostri bambini, ma i loro genitori vivono la relazione col Signore anche per loro e la trasmettono loro in qualche modo. Qualcuno penserà che quei bambini avessero subito il sopruso dei grandi, che li costringono ad andare da Gesù, ma chi pensa questo è un povero stolto, perché se ciò fosse vero allora i nostri ragazzi non dovremmo mandarli neanche a scuola! No, il bene che i genitori conoscono è lo stesso bene che vogliono per i loro figli, e questo bene si chiama Gesù.
L’adulto che cammina, che ascolta, sente il desiderio che anche altri vivano questa esperienza e abbiano qualcosa di quel dono ricevuto; questo desiderio, prima di tutto riguarda quelli della propria “famiglia”, soprattutto per coloro che debbono ancora crescere, e crescere “bene”.

    I bambini nella mentalità del tempo di Gesù, insieme ai vecchi e alle vedove, contavano poco o nulla nella società perché limitati, improduttivi, indigenti, soli. Eppure solo a chi è come loro appartiene il regno di Dio.
Camminare con Gesù vuol dire assumere la condizione dei bambini, non l’età!
È dunque un cammino e un ascolto di completa dipendenza, come i bambini dipendono dai genitori, ma non significa fare i bambini! È un cammino che non esonera da impegni e responsabilità, è una dipendenza spontanea, accettata, che proviene dalla fiducia, dalla certezza che non sarò trattato male, tanto meno usato, ma abbracciato, benedetto, coccolato e anche spinto, stimolato, coinvolto, impegnato perché devo crescere, maturare.

    Il catechismo, come abbiamo già detto, è un cammino di fede, non solo dei bambini, ma come bambini, un atteggiamento che riguarda tutti; anche Gesù che facendosi uomo si è fatto bambino e pur essendo Dio si è lasciato educare da Maria, la Madre, e da Giuseppe, il padre legale.
Lui al quale tutti debbono affidarsi si è affidato, questo per insegnarci che l’uomo cammina col suo Dio fidandosi come un bambino.

     I bambini coi quali anche noi camminiamo nella fede vengono portati a noi dai genitori, (noi tante volte diciamo “mandati”), perché desiderano che in Parrocchia incontrino e ascoltino Gesù Cristo, altrimenti li avrebbero indirizzati verso altri cammini. Questo atteggiamento non dobbiamo disprezzarlo anche se notiamo, e lo notiamo, che il coinvolgimento dei genitori nel cammino di fede dei figli, è limitato. Essi comunque vivono l’atteggiamento di quelli del brano Evangelico “li portavano a Gesù” per cui sta a noi, nel nome di Cristo, e della Chiesa, attuare il comando “Predicate, annunciate il Vangelo…ascoltino o non ascoltino”.

     Un secondo quadro che il brano del Vangelo ci presenta è la reazione dei discepoli a quest’assalto di bambini attorno a Gesù: essi “li rimproveravano”.

     Sono proprio i discepoli, i più vicini a Gesù, coloro che ormai da diverso tempo camminano con Lui, lo ascoltano, godono della sua Persona, fisicamente e spiritualmente, quelli che sgridano, rimproverano. Chi? I genitori perché portavano i bambini; i bambini perché occupavano Gesù e magari facevano un po’ di chiasso.

    Coloro che dovrebbero essere dei “conduttori”, “facilitatori”, “mediatori” tra Gesù e la gente, diventano, sono, invece un ostacolo. Perché?

    Essi, in riferimento agli adulti, cioè ai genitori di questi bambini, forse pensavano, come altrove nel Vangelo, che “non sono dei nostri e glielo abbiamo impedito” (Mc 9,38).
In riferimento ai bambini invece essi forse si attenevano a quella mentalità che riteneva questa età non idonea a stare col Maestro: in poche parole facevano perdere tempo.

    Gesù stronca subito questo atteggiamento “lasciate che vengano a me non glielo impedite”. E aggiunge un’altra affermazione ancora più importante “perché di questi è il Regno di Dio”.

    Gesù è per tutti, anche se non tutti lo vogliono. È anche per i bambini e con questo termine non ci riferiamo solo all’età ma andiamo oltre e pensiamo anche a tutti quelli che dalla società, di ieri e di oggi, sono considerati dei pesi, zavorra, a coloro che sono nell’indigenza, a coloro che sono nell’incapacità di redimersi da una situazione umana e sociale disastrata, da una povertà non solo economica ma anche culturale, spirituale, a coloro che sono emarginati, abbandonati, esclusi dalla vita sociale, “impegnata”, “attiva,” “produttiva”.
Questi bambini lasciate che vengano a me non glielo impedite!- dice Gesù. Hanno bisogno, sono in necessità, lasciateli venire a me, ho spazio e tempo per loro e se lo vogliono, accogliendomi, troveranno in me ciò che manca alla loro vita.
Vengono a me, non a te, Tizio, Caio o Sempronio! A me “sorgente, fonte d’acqua viva”.

    Gesù è di tutti, è per tutti, non è un’esclusiva di qualcuno anche se chiede, a coloro che lo seguono, l’esclusiva “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”. (Mt 10,37-39).

    Se vengono da Gesù non dobbiamo impedirglielo, dobbiamo solo farglielo incontrare, farglielo vedere, non ostacolare. Noi siamo solo mezzi, strumenti per questo incontro, ma non mezzi e strumenti passivi, inermi, ma strumenti attivi che possono agevolare o bloccare. Dobbiamo essere strumenti buoni, docili, nelle mani dell’Artista: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato”. (Lc 10,16).

   Molte volte, purtroppo, con i nostri criteri, idee, visioni pastoralistiche o psicologistiche allontaniamo da Gesù perché, coloro che gli si avvicinano, per un motivo o per un altro, non sono come diciamo noi, e potremmo aver anche ragione, ma siamo sicuri che noi siamo proprio come il Signore ci vuole?
Dobbiamo dare a tutti la possibilità di incontrare Gesù, perché non vengono per incontrare noi ma Lui! Non sta a noi censire o cernire chi sì e chi no perché saranno loro stessi a rimanere o ad abbandonare, saranno loro a dire “Signore da chi andremo” (Gv 6,68), oppure “ti ascolteremo un’altra volta” (At 17,32).
Tutti debbono aver la possibilità di incontrare Gesù nella loro vita, trovarlo sul loro cammino, anzi immettersi nella Sua via, la via della vita, della felicità, del bene. Incontrarlo è lasciarsi toccare da Lui e ricevere da Lui una scintilla di quell’ amore divino che, se alimentato, coltivato, produrrà quell’incendio desiderato dallo stesso Gesù “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso!” (Lc 12,49). Pensiamo a Zaccheo e a cosa gli è successo!

    Gesù motiva questo suo atteggiamento di accoglienza verso i bambini dichiarando “perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”.

    Il Regno di Dio non è da confondere con un regno di questo mondo (con una piccola zolla di terra, o pochi metri quadrati di un ufficio in non so quale organizzazione), dove spesso pochi godono e molti patiscono; è Regno di Dio quindi è un’altra cosa ed è superiore ad ogni altra cosa proprio perché è di Dio.

    Questo Regno non è un’esclusiva, è per tutti, tutti sono invitati in questo Regno, ma non tutti lo vogliono, lo desiderano, lo cercano. Questo Regno comunque verrà. Ognuno deve accettare Gesù, il Figlio di Dio perché accettando Lui si appartiene al Suo regno. Per accettare Gesù tuttavia, occorre l’umiltà, la semplicità, la spontaneità, la fiducia dei bambini.

    Sembrerebbe che questo Regno sia qualcosa di sempliciotto, a causa della relazione con la figura dei bambini, eppure è la cosa più seria e solida che esista. Questo Regno richiede di essere come bambini ma per essere come bambini occorre coraggio, occorre quella libertà che non è quella che si sbandiera in questo mondo, nei “regni” di questo mondo. Occorre essere liberi da condizionamenti, liberi dalle ideologie, liberi dalle cose, liberi dai vizi, liberi dal peccato. Sì, liberi di un’altra libertà: la Libertà di Dio! Libero vuol dire vivere la volontà di Dio, fidarsi di Lui, proprio come i bambini che nei loro atteggiamenti sono molto liberi, spontanei.

     Questo Regno è dunque libertà, come Dio è libero, è un Regno di amore come Dio è Amore, è un Regno di giustizia come Dio è giusto, è un regno di vita eterna come Dio è eterno.

     Ecco perché Gesù dice che bisogna essere come i bambini, perché questo regno non lo desidera e non lo gusta chi non è come loro, che sono indifesi, fragili, bisognosi di aiuto, non possiedono niente eppure nulla manca loro. Sono liberi perché confidano nell’amore dei genitori. I bambini accolgono il Regno come dono, senza contare sulle risorse personali, sulle proprie opere. Dunque il credente deve assumere queste caratteristiche del bambino nel suo rapporto con Dio: semplicità, abbandono, fiducia.

     Ecco perché dobbiamo perseverare nel cammino con Gesù perché di queste verità dobbiamo, noi catechisti, esserne vitalmente animati, convinti, carichi: dobbiamo camminare ancora per imparare, sempre meglio, questo modo giusto di essere col Signore e per il Signore, al fine di godere e far godere di questo dono che Dio ci ha fatto e di trasmetterlo. Mentre camminiamo Lo ascoltiamo per essere formati in questa sua logica, assurda per il mondo, di povertà, con la quale e solo con la quale, diventeremo ricchi dal momento che possederemo il Regno di Dio; anzi è il Regno che ci possiederà ora e per l’eternità.

    Catechizzeremo a partire proprio dall’esperienza che abbiamo già vissuto e che continuiamo a fare, perseverando nel cammino. Buttiamoci allora sempre più, come bambini, in questa relazione “corpo a corpo”, con Dio e con i fratelli, siamo portatori di un “virus” chiamato Amore, contagiati contagiamo e l’umanità sarà veramente diversa.

Stampa articolo