Testo per l’incontro dei catechisti

       Il Vangelo da cui partiamo per la nostra riflessione in questa Quaresima, possiamo dire che sia un po’ scomodo perché parla di sofferenza e di morte, due cose che già di per sé rifuggiamo per quanto possiamo dalla nostra vita; tuttavia, in questo momento storico ci stanno tallonando con insistenza. Questo Vangelo ci parla anche di aiuto, di soccorso, nella vicenda di Simone di Cirene che aiuta a portare la croce di Gesù. Dunque è un Vangelo che ci fa considerare la realtà ma ci ricorda la nostra missione di cristiani che è, con Gesù, vivere un servizio per il bene dell’uomo, dell’umanità; non dimentichiamoci che il bene dell’uomo è Dio, e non altro.

       Vivere un servizio nella Chiesa è il risultato dell’aver accolto la vita e la missione di Gesù. Non si fa qualcosa nella comunità parrocchiale, nella Chiesa se non si accetta Cristo fino in fondo perché, quel servizio che svolgo non è un semplice e puro fare materiale, tecnico, ma è una testimonianza di vita che va oltre il momento di impegno: sono sempre in servizio perché servire è vivere Cristo, far vivere Cristo in me, in noi, nel mondo intero.

       Quindi quando assumo un impegno nella comunità parrocchiale non mi butto in un’avventura che mi aggrada in quel momento, ma attratto da Cristo, non posso non darmi a Lui, perché Lui possa attraverso di me continuare la sua opera salvatrice: servire Gesù significa servire, con Lui, la salvezza.

      Non faccio qualcosa per le insistenze di qualcuno, ma rispondo a Gesù che ha toccato la mia persona, la mia mente, il mio cuore. Dico sì a Lui perché in quello che mi viene chiesto, laddove ho capacità personali, Egli possa edificare la Sua Chiesa, la Sua comunità

Abbracciare un servizio è abbracciare lo stesso Gesù, e, con Gesù, l’umanità.

Come abbraccio?
Abbraccio Gesù come Pietro, come Giuda o come Zaccheo?
Abbraccio con Gesù tutti o solo quelli che mi sono simpatici?
Abbracciare Gesù non è un abbraccio di coccole per sentirmi egoisticamente soddisfatto, perché nel momento che abbraccio Lui abbraccio tutto ciò che è Suo.

E che cosa è Suo? Tutto!

Oltre a Lui chi abbraccio? La Chiesa, la comunità, ogni fratello e sorella.

Il servizio è dunque un grande abbraccio! Non si può scegliere: questo sì, quello no: ecco la difficoltà.
         Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù ha abbracciato la croce e poi ci è salito sopra, mentre il Cireneo è obbligato a condividerla nel portarla. Chissà cosa avrà pensato Simone di Cirene quando l’hanno obbligato a portare la croce di Gesù? Egli non sapeva niente di Gesù né della sua croce, deve portarla e non obiettare.

       Per noi l’abbraccio, nell’immediato, è sinonimo di gioia, di felicità; non dobbiamo dimenticarci però che ci abbracciamo anche nei momenti di dolore.

      L’abbraccio indica, significa, prendere per me ciò che è tuo. Ti abbraccio perché per quanto potrò, mi immedesimo nella tua situazione di vita, di gioia o di dolore: con questo abbraccio ti voglio dire che non sei solo! Questo è quello che vuol significare e quello che noi esprimiamo, desideriamo, per quanto possiamo vivere.
L’abbraccio è immagine, “icona” esteriore di ciò che è chiuso nel cuore, che è molto di più di quello che si riesce a manifestare.

       L’abbraccio è un impegno di vita, per la vita.

       Non sempre però i nostri abbracci hanno la consequenzialità di ciò che vogliono esprimere; invece l’abbraccio di Cristo fa quello che “dice”!

      Con l’incarnazione ha abbracciato l’umanità, abbracciandola ha vissuto tutto ciò che è umano, eccetto il peccato, anche la morte. Cristo ci abbraccia anche nella nostra morte: per questo i cristiani vivono la morte come passaggio, una Pasqua, perché sanno di essere abbracciati da Cristo che, con loro e per loro, si è messo nella morte per risorgere poi a vita nuova.

      Dobbiamo imparare da Gesù ad abbracciare per imparare davvero che cosa voglia dire servire. Come Lui e con Lui stringere l’umanità anche se in questo abbraccio c’è la croce: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).

      Dobbiamo imitare il Cireneo non nel metterci con Gesù per forza ma perché abbiamo capito che siamo chiamati per “portate il peso gli uni degli altri” (Gal 6,2). Se calcolo non servo o non servo bene, perché agisco per convenienza. Se amo servo e basta, servo per amore e l’amore non ha convenienze perché il suo stipendio è l’Amore stesso.

     Abbracciamo con Gesù, serviamo come Lui, sapendo che con Lui la vita è assicurata. Anche se l’abbraccio che diamo, offriamo, è rifiutato noi continuiamo a stare con Gesù il quale abbraccia tutti buoni e cattivi, belli e brutti, simpatici e antipatici, perché vuole che tutti si salvino cioè vivano della Sua vita.

    Il tempo che stiamo vivendo sembra invece attualizzare le parole del libro del Quelet: “c’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci” (3,5).

    Sì, è un tempo questo in cui bisogna astenersi dagli abbracci per motivi sanitari; ci si astiene dall’abbraccio fisico ma non da quello del cuore cioè dall’amore. Prima di adoperare le braccia bisogna adoperare il cuore, cioè bisogna amare. Il primo vero abbraccio è l’amore dal quale dipendono tutti gli abbracci che non saranno formali ma reali, non saranno gomitate (come ora è di moda) che vengono qualificate come saluti… mah! L’abbraccio dell’amore riesce ad avvolgere anche i “lebbrosi”, come fece San Francesco. 

       Abbracciare è un tempo del verbo amare!

       Gesù abbraccia la croce perché è il tempo della salvezza cioè il tempo in cui l’amore di Dio si manifesta in pienezza: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16).

       I cristiani sono chiamati ad abbracciare, a servire, così. Noi siamo invitati a pensare e vivere l’abbraccio e il nostro servizio pastorale in questa maniera.
Servire la Chiesa, la comunità parrocchiale, è vivere l’amore.
Servo perché con Gesù e la Chiesa, capo e corpo, abbraccio.
Servo perché mi lascio abbracciare da Cristo servo e dalla Chiesa serva.
Servo perché amo comunque e in qualsiasi situazione, ciò che ama Cristo e la Chiesa.
Servo perché non abbraccio chi voglio io e quando o come voglio io, ma con Gesù e per Gesù anche quella croce che umanamente rigetto ma che fa parte del “pacchetto servizio”.
Servo non per forza, come è stato fatto fare al Cireneo, ma liberamente e per amore.

      Molti abbracciano fintanto che le cose vanno secondo il loro modo di vedere o pensare, ma quando si chiarisce che cosa sia effettivamente servire fuggono come Pietro che rinnega Gesù, come Giuda che tradisce Gesù. Hanno abbracciato non Gesù e il suo servizio, ma se stessi e il loro tornaconto; è davvero un abbraccio falso: “con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo” (Lc 22,48).

      Moltissimi hanno abbracciato sinceramente Gesù, e con Gesù hanno portato fino in fondo il loro servizio, come ad esempio i martiri, senza fuggire, scappare, portando non solo la croce naturale, non solo quella che procurano gli altri, ma anche quella croce che siamo noi a noi stessi e che rifiutiamo di riconoscere fino a quando qualcuno non ce la fa presente.

     Abbracciamoci veramente col cuore, con l’amore, perché quando potremo riadoperare le braccia queste non siano altro che prolungamento di quello, il cuore, ed estensione di questo, l’amore, manifestazione di un servizio mai interrotto ma continuato in tutti i modi e con tutti i mezzi.

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